Un’allegra combriccola di diavoli si ritrova su una nuvola, per assistere all’equivalente infernale di uno spettacolo pirotecnico. Nell’attesa i tre mefistofelici soggetti decidono di raccontarsi a vicenda delle storie, alcune di fantasia altre desunte dal loro vissuto di tentatori professionisti. Ne fuoriescono undici racconti di natura diversa, anche se tributari dei generi fantasy e horror che, talvolta, sottendono, con ironia, alla società contemporanea e alle sue mode. In premessa vi è un passo del De diabolorum natura, specie et malitia, un trattato di demologia scritto fra Medioevo e Rinascimento noto solo all’autore.
“Il bene e il male sono rimasti immutati da sempre … Tocca ad ognuno di noi discernerli, tanto nel Bosco d’Oro quanto nella propria dimora”.
(John R. R. Tolkien)
La difficoltà del nostro secolo, viene da pensare leggendo i racconti di Luigi Pruneti, consta nel non avere la percezione dell’esistenza del diavolo.
Lontani ormai paiono i tempi in cui favole edificanti ci venivano lette prima di andare a dormire, o ancor prima quando oralmente, si tramandavano modi per proteggersi dal male, insito nell’umanità.
Leggendo le pagine de “Le 11 unghie del diavolo”, veniamo catapultati in mondi che parrebbero immaginari; ci scopriamo a sorridere seguendo le avventure esilaranti dei personaggi; ci perdiamo in boschi e vallate, luoghi fantastici usciti da una fiaba, fino a quando, qualcosa ci attanaglia nel profondo: ci riconosciamo marionette appese ad un filo, in balia di un ordito che non possiamo, sappiamo o vogliamo contrastare e dominare; comodamente immersi nei nostri soffici divani, cullati dalle nostre illusorie sicurezze, dimentichi dell’oscurità che è sempre in agguato.
Le figure fantastiche che riempivano le narrazioni infantili, soppresse da un “politicamente corretto” dilagante, sono il vero diabolico gioco, per non farci più allarmare di nulla.
Chi crede ancora all’esistenza del bene e del male?
Sabrina Conti
Dir. Collana